Il principio di funzionamento del cannocchiale è piuttosto semplice. Per rendere ancora più semplice la spiegazione, prendiamo come esempio un particolare esemplare dello strumento, ossia il cannochiale Kepleriano.
L’obiettivo forma un’immagine reale, rimpicciolita e capovolta dell’oggetto osservato. L’oculare — che essendo costituito da una lente convergente di corta focale, è in pratica una lente di ingrandimento — ingrandisce l’immagine formata dall’obiettivo. L’immagine che si osserva è però capovolta e quindi, almeno nell’uso terrestre, il cannocchiale deve essere dotato di un qualche dispositivo erettore, che, reinvertendo l’immagine, la raddrizzi.
[https://brunelleschi.imss.fi.it/esplora/cannocchiale/dswmedia/esplora/iesplora2.html]
L’ingrandimento visuale di un cannocchiale, astronomico o terrestre che sia, vale a dire il rapporto tra l’angolo α' sotto il quale l’occhio vede l’immagine data dall’oculare e l’angolo α sotto il quale l’occhio nudo vedrebbe l’oggetto, risulta pari al rapporto tra la distanza focale dell’obiettivo, fob, e quella dell’oculare, foc:
di qui l’opportunità, se si vogliono forti ingrandimenti, di usare
obiettivi di grande distanza focale e oculari di piccolissima distanza
focale. D’altra parte, la luminosità dell’obiettivo dipende
dall’apertura numerica, cioè dal rapporto tra diametro utile e distanza
focale, così, un obiettivo di distanza focale grande, per essere
soddisfacentemente luminoso deve avere un diametro utile che sia grande
in proporzione. Tutto ciò comporta notevoli difficoltà costruttive, che
obbligano a limitare la distanza focale a 15-20 volte il diametro
dell’obiettivo; ne discende la regola empirica secondo la quale
l’ingrandimento massimo ottenibile è dato, all’incirca, dal
triplo del diametro utile dell’obiettivo, espresso in millimetri.
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
RispondiElimina